Trasformare il cibo presente in natura ha costituito la scelta strategica che ha permesso all’uomo di sopravvivere. Macinare i semi permetteva di conservarli nel tempo e usarli per preparazioni
anche in tempi successivi, risolvendo così i problemi di approvvigionamento nelle stagioni invernali. La macinazione è un processo fisico che ha come obiettivo la produzione di farina (da grano tenero o altri cereali) e di semola (da grano duro), attraverso la separazione della cariosside (chicco) del grano dalle parti considerate estranee come il germe, la crusca e le impurità. La macinazione dei cereali prevede diversi trattamenti che hanno subìto sostanziali modifiche nel corso del tempo. Proviamo a vederle insieme.
Dalla macina al mulino
Già nell’era paleolitica, 30.000 anni fa e 20.000 anni prima dello sviluppo dell’agricoltura, gli uomini avevano imparato a macinare tuberi e semi raccolti da piante che crescevano spontaneamente
sfregandoli tra due pietre: i macinelli. I macinelli erano formati da un ciottolone, che veniva mosso alternativamente, avanti e indietro, schiacciando una manciata di semi posta sopra una pietra di base. Alle pratiche della primitiva agricoltura erano destinate le donne. Agli uomini era riservata la caccia. Anche quando l’agricoltura divenne la principale attività dell’uomo, tutto quanto concerneva la macinazione e la panificazione rimase di esclusiva pertinenza femminile. L’evoluzione del macinello portò all’invenzione della macina rotante che consentiva una produzione meno faticosa e più costante di farina: i grani potevano essere alimentati con continuità dal foro centrale della mola superiore. Macine rotanti, costruite con dura e vetrosa pietra lavica, erano in uso nell’antica Roma. La nuova tecnica favorì l’aumento delle dimensioni delle mole: dalla macina mossa dalla mano femminile, si passerà a quelle sempre più grandi, azionate da più schiavi o da asini e cavalli e, là dove possibile, dalla forza dell’acqua.
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