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Lo stato di salute della filiera nazionale grano duro-pasta

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Dopo il consolidamento dei dati sul raccolto nordamericano, l’andamento dell’offerta e dei prezzi internazionali del grano duro per i prossimi mesi è pressoché confermato. Il mercato mostra infatti un equilibrio sui valori delle ultime settimane, in attesa di novità sul fronte geopolitico. Nel complesso, sulla carta, il contesto resta deficitario, ma al momento non si osservano particolari tensioni, stante l’ottimo livello di copertura del fabbisogno dei molini, in attesa di ulteriori dati circa le potenzialità dell’offerta per il prossimo anno sia in volume sia in qualità. Le semine 2022 sono previste mediamente in aumento a scapito delle colture primaverili e, a oggi, non si registrano particolari turbative negli scambi, il che porta le quotazioni a consolidarsi su livelli intorno ai 500 euro/t.

Ma quanto incidono i cambiamenti climatici sulla coltivazione del grano duro? Il riscaldamento globale è un fenomeno che viene da lontano e produce effetti di medio periodo, pertanto non ci si può basare su dati congiunturali. Tuttavia, la siccità che ha caratterizzato il 2022 e le alte temperature del mese di ottobre sono segnali inequivocabili, che colpiscono pesantemente anche la coltivazione del grano duro. Un effetto immediato del riscaldamento globale sulle produzioni di grano duro sarà la volatilità che, inevitabilmente, inciderà anche sui prezzi. L’effetto di lungo periodo sarà invece la riduzione delle rese, a meno di miglioramenti dal punto di vista genetico e delle tecniche colturali. Entra così in gioco la ricerca scientifica e la sperimentazione. Ma nel nostro Paese la ricerca sementiera, sia pubblica sia privata, ha un ruolo marginale da almeno 15 anni. L’Italia deve riprendere il percorso strategico della ricerca sementiera nel grano duro con un grande programma pubblico-privato, necessario per il supporto di questa coltura che rappresenta la principale produzione agricola italiana in termini di superficie (1,1 milioni di ettari) e la primaria filiera di esportazione sotto il profilo dell’autoapprovvigionamento di pasta (221%).

L’Italia è saldamente il primo esportatore al mondo di paste alimentari con una quota sul totale del 25% in volume e del 30% in valore; i dati mostrano che le esportazioni nazionali di pasta sono aumentate, tra il 2010 e il 2021, del 28% in volume, fino a superare le 2 milioni di tonnellate, e del 68% in valore, circa 3 miliardi di euro nel 2021. Certo, negli ultimi anni le esportazioni di pasta della Turchia sono aumentate a un tasso più elevato, nell’ordine delle tre cifre (1,4 milioni di tonnellate, per un valore di 657 milioni di euro). Nel 2021 la quota della Turchia sull’export mondiale di pasta si è attestata al 15% in volume e al 6% in valore. Qui la variabile prezzo è determinante: quello della pasta prodotta in Turchia, e poi esportata, è decisamente più basso di quello italiano (0,48 euro/kg vs. 1,31 euro/kg nel 2021), a dimostrazione di un livello qualitativo non comparabile con il nostro; infatti, per l’Italia gli sbocchi dell’export di pasta della Turchia non sono rilevanti perché in grandissima parte riguardano nazioni economicamente povere (Venezuela, Somalia, Benin, Ghana, Togo, Nigeria ecc.). D’altro canto, la nostra filiera del grano duro, come altre filiere nazionali di alta qualità, ha una sua riconoscibilità e punta sul valore, che resta la chiave di volta per il successo dei prodotti italiani all’estero.

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